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Racconti                             Una foto di troppo




              di Andrea Di Napoli
         pomeriggi estivi sono lunghi e lumino-
         si e perfino gli ultimi istanti prima del
       Itramonto possono essere sfruttati per
       fare delle suggestive fotografie dall’atmo-
       sfera incantata, tipica di quella che giu-
       stamente è stata definita “l’ora d’oro”. Un
       giovane fotoamatore siciliano aveva fatto
       proprio queste semplici valutazioni relative
       alla luce, mentre con attenzione caricava il
       rullino da 36 pose nel suo nuovo apparec-
       chio fotografico. Qualche giorno prima, in-
       fatti, Fabrizio aveva comprato una Kodak,
       la Retina III, per sostituire la rudimentale
       biottica 6x6, una scadente imitazione del-
       la prestigiosa Rolleiflex, alla quale doveva
       sostituire la pellicola ogni 12 scatti. Nono-
       stante la macchina “appesa” al collo gli pe-
       sasse un po’, il “photoreporter” si muoveva
       con disinvoltura per non essere scambiato
       per un turista di passaggio. La solitaria
       escursione fotografica sembrava essere
       stata proficua. In poco meno di due ore a-
       veva realizzato una serie di fotografie dei
       monumentali edifici che sorgono nel Cen-
       tro Storico di Palermo, qualche veduta del-
       la pittoresca Passeggiata a Mare ed alcu-
       ne istantanee degli indolenti cani randagi
       incontrati alla Cala. Impaziente di vedere
       il risultato dei suoi “scatti”, il giovane pre-
       se la via del ritorno. Avrebbe consegnato
       il rullino ad un amico che si sarebbe occu-
       pato personalmente dello sviluppo e della
       stampa. Ma a quel punto Fabrizio si ac-
       corse che “in macchina” restavano ancora
       due o tre fotografie da scattare e si guardò
       attorno alla ricerca dei soggetti adeguati.
       L’ingresso della stradina laterale era stret-
       to e il tronco di un albero in parte gli co-
       priva la visuale, ma quello che il fotografo
       aveva involontariamente scorto per terra
       era il corpo di un uomo sanguinante. In
       piedi, poco distante dal cadavere, stavano
       altri due individui. Uno spavaldo e sicuro di
       sé, l’altro circospetto, ma pacifico. La pau-
       ra assalì Fabrizio che non riusciva a cre-
       dere che una di quelle spietate faide di cui
       parlavano i giornalisti più coraggiosi fosse
       accaduta quasi sotto i suoi occhi. Doveva
       andare a  chiamare  qualcuno, ma anche
       soltanto pochi minuti dopo non avrebbero
       trovato più nessuna traccia dell’accaduto.
       Doveva,  allora,  documentare  quello  che   pevole che in queste situazioni anche un   tocamera nuova” era riecheggiato in quel
       aveva visto con una fotografia. Sapeva di   modesto fotoamatore doveva svolgere il   fatiscente cortile per un interminabile ses-
       rischiare  la vita,  ma  non sarebbe stato il   ruolo di comunicatore e riportare più infor-  santesimo di secondo. Girandosi Fabrizio
       primo e neanche l’ultimo a sacrificarsi per   mazioni possibili. Per individuare il luogo e   si accorse che alle sue spalle c’erano altri
       il proprio impegno civile. Stava sudando   l’epoca i manifesti e le locandine sembra-  “picciotti” ed erano tutti armati …«Stop! S
                                                                                T O O O P ! !» Gridò al megafono il regista
                                            vano affissi appositamente, ma per inqua-
       abbondantemente, ma non dipendeva dal-  drare bene tutto avrebbe dovuto spostarsi   del film, una produzione americana dal ti-
       la stagione. Il fotografo portò lentamente   e rischiare di essere visto. Nel preciso mo-  tolo “Una famiglia per il primo Padrino”. In
       avanti la pellicola su una delle pose anco-  mento dello scatto “il pacifico” si accorse   quel momento tutti si fermarono immedia-
       ra da impressionare e intanto pensava al   di Fabrizio ed agitando la mano lo avvertì,   tamente, tranne il “cadavere” che si rialzò
       temerario Robert Capa, un “collega” finito   col solo linguaggio labiale «Non puoi stare   stiracchiandosi e borbottò:  «Ci mancava
       su una mina per documentare gli orrori e   qua!» Ma ormai il “clic” era avvenuto ed il   solo il fotografo sul set … Maledetto foto-
       l’inutilità della guerra. Fabrizio era consa-  rumore meccanico dell’otturatore della “fo-  grafo ! »
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