Page 3 - 2-2021
P. 3
Racconti Una foto di troppo
di Andrea Di Napoli
pomeriggi estivi sono lunghi e lumino-
si e perfino gli ultimi istanti prima del
Itramonto possono essere sfruttati per
fare delle suggestive fotografie dall’atmo-
sfera incantata, tipica di quella che giu-
stamente è stata definita “l’ora d’oro”. Un
giovane fotoamatore siciliano aveva fatto
proprio queste semplici valutazioni relative
alla luce, mentre con attenzione caricava il
rullino da 36 pose nel suo nuovo apparec-
chio fotografico. Qualche giorno prima, in-
fatti, Fabrizio aveva comprato una Kodak,
la Retina III, per sostituire la rudimentale
biottica 6x6, una scadente imitazione del-
la prestigiosa Rolleiflex, alla quale doveva
sostituire la pellicola ogni 12 scatti. Nono-
stante la macchina “appesa” al collo gli pe-
sasse un po’, il “photoreporter” si muoveva
con disinvoltura per non essere scambiato
per un turista di passaggio. La solitaria
escursione fotografica sembrava essere
stata proficua. In poco meno di due ore a-
veva realizzato una serie di fotografie dei
monumentali edifici che sorgono nel Cen-
tro Storico di Palermo, qualche veduta del-
la pittoresca Passeggiata a Mare ed alcu-
ne istantanee degli indolenti cani randagi
incontrati alla Cala. Impaziente di vedere
il risultato dei suoi “scatti”, il giovane pre-
se la via del ritorno. Avrebbe consegnato
il rullino ad un amico che si sarebbe occu-
pato personalmente dello sviluppo e della
stampa. Ma a quel punto Fabrizio si ac-
corse che “in macchina” restavano ancora
due o tre fotografie da scattare e si guardò
attorno alla ricerca dei soggetti adeguati.
L’ingresso della stradina laterale era stret-
to e il tronco di un albero in parte gli co-
priva la visuale, ma quello che il fotografo
aveva involontariamente scorto per terra
era il corpo di un uomo sanguinante. In
piedi, poco distante dal cadavere, stavano
altri due individui. Uno spavaldo e sicuro di
sé, l’altro circospetto, ma pacifico. La pau-
ra assalì Fabrizio che non riusciva a cre-
dere che una di quelle spietate faide di cui
parlavano i giornalisti più coraggiosi fosse
accaduta quasi sotto i suoi occhi. Doveva
andare a chiamare qualcuno, ma anche
soltanto pochi minuti dopo non avrebbero
trovato più nessuna traccia dell’accaduto.
Doveva, allora, documentare quello che pevole che in queste situazioni anche un tocamera nuova” era riecheggiato in quel
aveva visto con una fotografia. Sapeva di modesto fotoamatore doveva svolgere il fatiscente cortile per un interminabile ses-
rischiare la vita, ma non sarebbe stato il ruolo di comunicatore e riportare più infor- santesimo di secondo. Girandosi Fabrizio
primo e neanche l’ultimo a sacrificarsi per mazioni possibili. Per individuare il luogo e si accorse che alle sue spalle c’erano altri
il proprio impegno civile. Stava sudando l’epoca i manifesti e le locandine sembra- “picciotti” ed erano tutti armati …«Stop! S
T O O O P ! !» Gridò al megafono il regista
vano affissi appositamente, ma per inqua-
abbondantemente, ma non dipendeva dal- drare bene tutto avrebbe dovuto spostarsi del film, una produzione americana dal ti-
la stagione. Il fotografo portò lentamente e rischiare di essere visto. Nel preciso mo- tolo “Una famiglia per il primo Padrino”. In
avanti la pellicola su una delle pose anco- mento dello scatto “il pacifico” si accorse quel momento tutti si fermarono immedia-
ra da impressionare e intanto pensava al di Fabrizio ed agitando la mano lo avvertì, tamente, tranne il “cadavere” che si rialzò
temerario Robert Capa, un “collega” finito col solo linguaggio labiale «Non puoi stare stiracchiandosi e borbottò: «Ci mancava
su una mina per documentare gli orrori e qua!» Ma ormai il “clic” era avvenuto ed il solo il fotografo sul set … Maledetto foto-
l’inutilità della guerra. Fabrizio era consa- rumore meccanico dell’otturatore della “fo- grafo ! »
3