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Perduti luoghi ritrovati, Poggioreale anticaa
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erremoto del Belice gennaio 1968. Agosto 2019, come nasce questo
racconto. In una calda giornata d’estate decido di andare a visitare ciò
Tche resta della vecchia Poggioreale (Tp). Siamo in Sicilia nella Valle
del Belice, quella che 51 anni fa fu colpita da una delle calamità naturali
più devastanti del dopoguerra italiano. Un intenso terremoto, a più riprese,
per diversi giorni, martoriò questo territorio radendo completamente al suolo
diverse cittadine, tra queste Gibellina, Salaparuta, Poggioreale. La storia
narra di un evento assolutamente inaspettato in un territorio che, fino a quel
momento, non era ritenuto a rischio sismico. E invece il terremoto arrivò e fu
devastante, doppiamente devastante giacché colpì un territorio impreparato
e uno Stato, quello italiano, che fu accusato più volte, di aver agito poco
tempestivamente nei soccorsi, e nella ricostruzione, che fu lenta e dolorosa.
Le immagini di repertorio mostrano scenari infernali, in cui le macerie miste
al fango rendevano faticosissimi I soccorsi, costruzioni di tufo interamente
sbriciolate, profondi squarci, edifici strappati quasi fossero fogli di carta. Fin
qui la storia. Agosto 2019, sono passati 51 anni da quell’evento catastrofico
che segnerà per sempre questo territorio, vado a visitare il sito di Poggio-
reale con spirito impreparato a quello che vedrò. Gli scenari non sono più
apocalittici come si mostrarono agli occhi dei sopravvissuti e dei soccorritori,
nel tempo interventi successivi hanno probabilmente permesso di rimuove-
re tante macerie per I necessari successivi sopralluoghi. Sono impreparata
per due ragioni. Non mi aspetto di trovare altri visitatori, e invece, il paese è
animato da figure di avventori che come me, desiderano conoscerle quelle
macerie. Le macerie trasudano una dignità e una bellezza che fa a pugni
con la violenza brutale che le ha generate. Il risultato è stato che mi sono
riconosciuta più orgogliosamente siciliana tra quelle macerie, immerse nel
silenzio attonito della valle che le circonda, quasi cullandole, che in tanti altri
luoghi a furor di popolo acclamati simbolo della estrema bellezza della mia
terra. Pertanto gli elementi del mio racconto sono innanzitutto il “quel che re-
sta” con l’imago di quello che doveva essere prima del terremoto, e che si è presenza mi ha permesso di descrivere con queste im-
arricchito anche delle tracce di coloro che vennero subito dopo. Le presenze magini il mio pensiero che è tutto racchiuso nell’incipit
umane al momento della mia visita, figure che impreziosiscono quei luoghi “Perduti Luoghi Ritrovati”. Perché fintanto che qualcu-
rendendoli paesaggio, giacché ciascuno degli avventori, come me, nel suo no porterà nei suoi occhi quei paesaggi, questi luoghi
girovagare in silenzio tra quelle macerie, le ha arricchite dei suoi pensieri e continueranno a vivere, e anche quando ad uno a uno
del suo sguardo, ricevendo in cambio ciò di cui questi luoghi si fanno porta- i visitatori lasciano il paese e la piazza ritorna in custo-
tori, le emozioni imperiture e primordiali. E poi ancora la piazza, con i signifi- dia al fedele cane bianco che la presidia, la quinta della
cati annessi, la valle sempre presente all’orizzonte, i custodi ultimi di questo natura che nell’ultima immagine velatamente chiude il
luogo, ovvero degli splendidi cani bianchi e la natura, che, laddove cessa racconto, rappresenta la certezza che la memoria ren-
l’intervento dell’uomo, di tutto si impossessa, giacché tutto le appartiene. È de tutto imperituro e che la bellezza è negli occhi di
un racconto corale, in cui chi si trovava con me quel giorno, attraverso la sua chi guarda.
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