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Reportage                          Fr�n�esc� Pa�l� F��r�n���l�


































                   Il grande Cretto di Burri











             i i appare all’improvviso, subito dopo una curva. È una visione che   A Gibellina, nella Valle del Belice distrutta
             ti impressiona, ai limiti del surreale. Ti sembra di vedere un enorme
        Tlenzuolo bianco steso sul verde della collina. Ma poi realizzi che quel-  dal terribile terremoto del 1968, l’artista
        lo che stai osservando, immerso nel silenzio di un caldo giorno di agosto,   Alberto Burri ha realizzato la più grande
        è un sudario, un lenzuolo funebre intriso di memoria. È il Grande Cretto di   opera di land-art esistente al mondo. E’ il
        Burri, l’artista Alberto Burri, che rappresenta la più grande opera di land-art   grande Cretto di Burri costruito dopo la
        al mondo, costruita tra il 1984 e il 1989, costruita sulle macerie di Gibellina,  ricostruzione della cittadina trapanese in
        interamente distrutta dal terremoto del 1968 nella Valle del Belice. L’artista  memoria del tragico evento sismico che
        disse nel 1995: “Quando andai a visitare il posto, in Sicilia, il paese nuovo  sconvolse la Sicilia occidentale.
        era stato quasi ultimato ed era pieno di opere. Qui non ci faccio niente di
        sicuro, dissi subito, andiamo a vedere dove sorgeva il vecchio paese. Era
        quasi a venti chilometri. Una stradina tortuosa, bruciata dal sole, si snoda
        verso l’interno del trapanese fino a condurci,  dopo chilometri di desolata
        assenza umana, ad un cumulo di ruderi. Ne rimasi veramente colpito. Mi
        veniva quasi da piangere e subito mi venne l’idea. […] Io farei così: compat-
        tiamo le macerie che tanto sono un problema per tutti, le armiamo per bene,
        e con il cemento facciamo un immenso cretto bianco, così che resti perenne
        ricordo di quest’avvenimento. Ecco fatto!”. La grandezza dell’opera del Ma-
        estro Burri è di aver eseguito un’opera che cristallizza, con la sua fisicità, la
        memoria e il dolore; un monumento che nasconde le macerie facendo si che
        tu non abbia mai la sensazione di trovarti davanti a una lapide commemora-
        tiva, ma di passeggiare lungo le vie del paese di Gibellina. Pareti di cemento
        bianco, ruvido, non levigato, con gli angoli degli incroci delle vie smussati, di
        un’uniformità assoluta, che ti avvolgono, ti accolgono, ti accompagnano nel
        tuo viaggio nella memoria del tempo: quel che fu, quello che è, quello che
        sarà ovvero il ricordo nel tempo. La fusione tra la sua fisicità e le emozioni
        che scaturiscono dalla memoria,  ti spingono a trovare un contatto fisico.
        Senti il bisogno di toccare, quasi accarezzare queste pareti, di percorrere le
        sue vie, di mimetizzarti fra esse, per essere con quel luogo una cosa sola.
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